Dici architettura sovietica e ti viene un conato di vomito. Pensi a un crimine ottico che per quasi mezzo secolo fu imposto a una popolazione di più di duecento milioni di abitanti, e poi esportato a Bucarest, Ulan Bator, Varsavia, Pechino, e in tutti i paesi che si convertirono al realismo sovietico. Pensi con orrore a un'orgia di monocromatici termitai di cemento in cui abitare, di alberghi squadrati come colossali Toblerone, di stazioni ferroviarie che senza insegne si sarebbero facilmente scambiate per caserme. Un crimine ottico in cui trionfò la decorazione barocca, i volumi asimmetrici, il monumentalismo retorico. Prima del 1931 Le Coubusier progettava a Mosca, Behrens e Mendelsohn a San Pietroburgo, May realizzava il piano urbanistico di Magnitogorsk. C'erano fior di architetti, prima del 1931 - Leonidov, padre del costruttivismo russo, Ginzburg, Melnikov, Golossov. Dopo il 1931 l'aria cambiò. Un decreto ufficiale del governo invitò "tutti gli artisti, attori, musicisti, architetti [...] a dissolvere le loro celle settarie" ed ad organizzare ciascuna professione in una federazione centralizzata. Tradizionalisti e razionalisti furono obbligati a riunirsi nella S.S.A. (Federazione degli Architetti Sovietici), e la direzione dell’unica rivista d’architettura del paese fu assegnata al progettatore del Teatro dell’Esercito Rosso a Mosca, Karo S. Alabyan, uno dei principali esponenti dell’accademia neoclassicista. E il crimine ottico e i moloch di cemento ebbero via libera. Ma ci fu chi reagì a questa dittatura. Non poteva farlo progettando un Palazzo dei Congressi, un'industria tessile, o un edificio residenziale, così espresse il suo dissenso con quanto di più anonimo e marginale potesse esserci: le fermate dei bus e delle corriere. Sterminata com'era l'Unione Sovietica, c'era solo da sbizzarrirsi. E così quelle fermate sparse per le steppe dell'impero, i deserti, le campagne, rinacquero grazie a un'architettura audace ed eversiva che le impreziosì di archi, cupole, colonne, torri. Le pensiline assunsero le sembianze di uccelli, di tende nomadi, di minareti, i colori esplosero, la fantasia esondò. Dopo la caduta dell'Impero Sovietico questo patrimonio cominciò a deteriorarsi. Quando le comunità locali ne compresero il valore, iniziarono a restaurarle, a ridipingerle, riportandole spesso al loro originario splendore. Un eccellente fotografo, il canadese Christopher Horwig ha viaggiato più volte questi paesi - anche in bicicletta - alla ricerca di fermate da fotografare. Queste sono solo alcune immagini del suo The Soviet Roadside Bus Stop Tour
domenica 28 dicembre 2008
L'impero in attesa di Christopher Horwig
Dici architettura sovietica e ti viene un conato di vomito. Pensi a un crimine ottico che per quasi mezzo secolo fu imposto a una popolazione di più di duecento milioni di abitanti, e poi esportato a Bucarest, Ulan Bator, Varsavia, Pechino, e in tutti i paesi che si convertirono al realismo sovietico. Pensi con orrore a un'orgia di monocromatici termitai di cemento in cui abitare, di alberghi squadrati come colossali Toblerone, di stazioni ferroviarie che senza insegne si sarebbero facilmente scambiate per caserme. Un crimine ottico in cui trionfò la decorazione barocca, i volumi asimmetrici, il monumentalismo retorico. Prima del 1931 Le Coubusier progettava a Mosca, Behrens e Mendelsohn a San Pietroburgo, May realizzava il piano urbanistico di Magnitogorsk. C'erano fior di architetti, prima del 1931 - Leonidov, padre del costruttivismo russo, Ginzburg, Melnikov, Golossov. Dopo il 1931 l'aria cambiò. Un decreto ufficiale del governo invitò "tutti gli artisti, attori, musicisti, architetti [...] a dissolvere le loro celle settarie" ed ad organizzare ciascuna professione in una federazione centralizzata. Tradizionalisti e razionalisti furono obbligati a riunirsi nella S.S.A. (Federazione degli Architetti Sovietici), e la direzione dell’unica rivista d’architettura del paese fu assegnata al progettatore del Teatro dell’Esercito Rosso a Mosca, Karo S. Alabyan, uno dei principali esponenti dell’accademia neoclassicista. E il crimine ottico e i moloch di cemento ebbero via libera. Ma ci fu chi reagì a questa dittatura. Non poteva farlo progettando un Palazzo dei Congressi, un'industria tessile, o un edificio residenziale, così espresse il suo dissenso con quanto di più anonimo e marginale potesse esserci: le fermate dei bus e delle corriere. Sterminata com'era l'Unione Sovietica, c'era solo da sbizzarrirsi. E così quelle fermate sparse per le steppe dell'impero, i deserti, le campagne, rinacquero grazie a un'architettura audace ed eversiva che le impreziosì di archi, cupole, colonne, torri. Le pensiline assunsero le sembianze di uccelli, di tende nomadi, di minareti, i colori esplosero, la fantasia esondò. Dopo la caduta dell'Impero Sovietico questo patrimonio cominciò a deteriorarsi. Quando le comunità locali ne compresero il valore, iniziarono a restaurarle, a ridipingerle, riportandole spesso al loro originario splendore. Un eccellente fotografo, il canadese Christopher Horwig ha viaggiato più volte questi paesi - anche in bicicletta - alla ricerca di fermate da fotografare. Queste sono solo alcune immagini del suo The Soviet Roadside Bus Stop Tour
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