Tra le mie malefatte televisive ho sulla coscienza i testi della prima edizione dei ‘Ciak d’oro’. Il teatro era il Brancaccio di Roma, l’organizzazione di Sorrisi e Canzoni, la regia di Davide Rampello. Presentava Milly Carlucci, con Alberto Sordi, spalla eccellente. Era la prima volta che incontravo Sordi, normale che fossi teso dall’emozione. Sordi arrivò effondendo sorrisi e battute; studiò la scaletta, concordò con me i tre momenti in cui sarebbe intervenuto nel galà, poi si infilò nel camerino sicuro del fatto suo. “Hai una Mercedes – mi urlò Giorgio Carnevali, uno dei produttori – di che cazzo ti preoccupi? “. Infatti, di cosa mi preoccupavo ? Ma quando lo show cominciò, sul palco salì un altro Sordi, un Sordi, so che a scriverlo ha dell’incredibile, come paralizzato dall’emozione, un Sordi che, rimettendo piede, dopo tanti anni, in quel teatro che lo aveva tenuto a battesimo, rideva e gesticolava in modo goffo e innaturale. Sia come sia, il Brancaccio gli giocò un brutto tiro, di colpo, gli fece dimenticare i tempi televisivi, e cominciò ad arrancare in un monologo che pareva non finire mai. Dalle quinte feci segno a Milly di fermarlo ma proprio allora accadde una cosa che finché campo non scorderò mai. Ad Alberto si staccò la dentiera. Non credo che in sala se ne accorsero in molti. Il suo eloquio però perse subito quel inconfondibile malìa e le parole presero a rantolargli in bocca, biascicate, farfugliate. Una tragedia! A parte l’iniziale smarrimento che gli lessi negli occhi, Sordi non si fece prendere dal panico e continuò coraggiosamente nel suo monologo. Gli mandai Milly in soccorso, ma lui le fece cenno con la mano di tenersi lontana: in qualche modo ne sarebbe uscito, ma da solo, da colonnello, da il più carismatico della brigata della commedia all’italiana. E alla fine dentiera sì dentiera no, terminò il monologo e il Brancaccio esplose in lunga e sincera standing-ovation
Ma facciamo un salto indietro
Era la primavera del 1986 quando montammo quello spettacolo in tutta fretta. Passammo due giornate nell’ufficio di viale Parioli di Lucherini a veder Enrico telefonare a tutto il cinema italiano all’inizio gonfio come un pavone, poi visibilmente in ambasce. I problemi erano due. Tutti rinfacciavano a Ciak (con ragione) di aver scritto peste e corna del cinema italiano per tutto l’anno. “Avete sputato nel piatto che vi sfama per un anno intero – rispose un imbufalito Christian De Sica – e adesso che vi serviamo, venite a leccarci il culo come se non fosse accaduto niente!”. Con parole e anatemi diversi, lo stesso concetto fu ripetuto dalla maggioranza dei suoi colleghi. Poi c’era la questione dei premiatori. Venivano solo se li premiavi, ma se li chiamavi per premiare un collega, o li pagavi, o arrivederci e grazie. Per il Nanni Moretti della ‘Messa è finita’ non c’era problema, veniva, e volentieri, Alberto Moravia seppur claudicante e appoggiato a un bastone, ma per la De Sio che stava sullo stomaco a tutto il cinema ( a tutti, assicuro, e non era una leggenda metropolitana come ha tentato di sostenere recentemente a Domenica In la stessa De Sio ) la raffica di ‘no! premiare quella, no!’ fu raggelante. Persino la Sandrelli, amica di tutti, antidiva per eccellenza, donna di rara sensibilità, che con Giuliana aveva recitato in ‘Speriamo che sia femmina’ declinò l’invito con gentile fermezza. Fortuna che a Milano qualcuno pensò a Carraro, allora sindaco di Roma. Carraro, preso alla sprovvista, interpretò la cosa come un onore, mentre la De Sio, che non seppe mai con quale tigna era stata evitata dai colleghi, apprendendo che sarebbe stata premiato da Carraro, esultò euforica. Era tardi. Enrico non ne poteva più di litigare al telefono. Sembrava uno spumante rimasto troppo a lungo senza tappo, di una effervescenza cadaverica che ispirava tenerezza. Notai delle foto in bianco e nero sparpagliate sul piano di una scrivania. Una ragazza banale che avrebbe potuto essere la figlia o l’amante di chiunque.
“Ti piace? “- mi chiese Enrico.
” No…non mi dice niente”
“Eppure diventerà una diva…Ha un solo difetto. Il cognome!”
“Perché? Come si chiama?”
“Cervellera. Francesca Cervellera”
Glielo cambiò con quello del pellicciaio Dellera. E col tempo arrivarono anche le tette che non aveva. Ma non diventò mai una diva. Dissero che passò una notte molto torrida con un noto portatore di bandane di Arcore, inciampò in qualche film, ma esagerò col silicone. Quando la incontrai a Los Angeles aveva due brautwurst bavaresi al posto delle labbra.
L’ultima telefonata, prima di portare tutti a cena all’’Eau Vive’, Enrico la spese con Laura Antonelli. Per fare la premiatrice Laura pretese 20 milioni . Enrico la liquidò a male parole. Poi chiamò Rosanna Mani, caporedattore di Sorrisi, e se ne vantò, ma la Mani invece di riderne gli fece una lavata di capo. “Ma come? Sono due giorni che stiamo collezionando ‘no’ anche dall’ultima delle comparse, lei ci sta, e tu la mandi a cagare ? ma sei tutto scemo?”
“Ma voleva 20 milioni ‘sta puttana”- sbraitò Enrico
” E allora? Mica li tiri fuori tu?”
Fu costretto a richiamarla, a chiederle scusa, a sorbirsi un cicchetto molto pepato, e a ogni stoccata, lui che è maestro della battuta tagliente, dovette mordersi la lingua, darle ragione, assecondarla servile ( agite sulla vanità di un gay, toccatelo nell’orgoglio, sarà per lui un autentico martirio). L’allora splendida ( assolutamente splendida ) Antonelli concluse così la seconda telefonata:
“Verrò, ma adesso ne voglio 30. Premio senza dire una parola e me ne vado. E i soldi li voglio prima di entrare in teatro”.
Come finì? Li prese da Gigi Vesigna all’ingresso del Brancaccio. Vesigna, per chi non lo sapesse, era il direttore di Ciak, ma soprattutto di Sorrisi e Canzoni, la Nimitz, in quegli anni, del giornalismo rosa italiano, ma davanti a Lei mi sembrò solo un fattorino impacciato.
Poi è andata come è andata. Tutte quelle storie orribili sulle quali un giorno, magari, dirò la mia. Ma lei allora era una Divina Creatura e come tenne testa a loro fu uno spettacolo bellissimo da vedere…
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