"Ci è venuto addosso un carro armato", confessa un vescovo di provincia a Marco Politi di 'Repubblica'. Il carrarmato, ovviamente, è Feltri e il 'Giornale', cingoli e cannone di un ripugnante killeraggio ai danni di Dino Boffo. E mentre il vescovo si lecca le ferite, Berlusconi va da Napolitano recitando la parte di chi è all'oscuro di tutto. "Presidente - pare abbia detto - sappi che in tutta questa storia di Boffo io non c'entro assolutamente nulla, i giornali hanno diffuso solo falsità. Feltri lo conosci anche tu. Semmai la prima vittima sono io". Non conosco Feltri, ma conosco molto bene Berlusconi. Ci ho lavorato gomito a gomito nei febbrili giorni dell'inaugurazione de 'La Cinq', la tivù francese che Berlusconi inaugurò con spocchia napoleonica nel febbraio del '86 e che sei anni dopo gli morì tra le mani, sfinita dai debiti e dalle pressioni politiche. Gli scrissi anche il suo discorso - 18 volte, perché ogni volta che il Cavaliere lo riascoltava, trovava sempre una parola, un aggettivo, un avverbio fuori posto, e mi chiedeva di correggere, di limare, di aggiungere altra polverina magica su un discorso che secondo lui non aveva sufficiente appeal. Che Berlusconi possa essere all'oscuro di qualcosa mi sembra una cazzata colossale, ancor di più che accetti di tenere sul suo libro paga schegge impazzite o mandarini che fanno di testa loro. Il vero Berlusconi sarà anche il barzellettiere incallito e il gaffeur con l'ossessione della Finlandia, l'uomo-cucù e la mitragliatrice umana, il collezionista di copricapi bizzarri e di tombe etrusche, ma il vero Berlusconi, quello senza maschera e cerone, è quello versione Putin che ringhia a Barroso e ai portavoce UE, è il peligro público - come lo ha definito 'El Pais' - che si scaglia contro quei pochissimi mohicani che ancora credono di poter informare liberamente nel nostro paese, è il Don Rodrigo disposto a qualunque colpo basso pur di eliminare chi gli sbarra la strada. Specialmente magistrati e giornalisti, verso i quali nutre un odio smisurato. Nel suo impero mediatico non c'è spazio per i giornalisti scomodi. O ci si piega alla sua manipolazione della realtà e si accetta di diventare megafoni servili, squadristi a mezzo stampa, utilizzatori finali di veline o si fa la fine della Svizzera nei sogni di Gheddafi. Chi pretende di continuare a fare informazione viene accerchiato dai legali del premier, intimidito da richieste di risarcimento astronomiche, assediato nel privato, diffamato, coperto di fango, massacrato. La censura infinita che Minzolini ha imposto al TG1 e il tank Feltri mandato a speronare Boffo sono i due casi più eclatanti, ma non passa giorno che telegiornali e i quotidiani ci offrano esempi di tentata effrazione della verità.
Giovedi 'Il Messaggero' e 'Il Tempo' hanno sparato a zero contro Action, i centri sociali e i comitati per la lotta per la casa con un linciaggio mediatico che pare la fotocopia di quello che ha travolto Boffo e di quello che ha cercato di travolgere i giornalisti de 'L'Espresso' quando incontrarono la Drezwycka. Davide Desario e Raffaella Troili de' Il Messaggero' e Grazia Maria Coletti de 'Il Tempo' sono stati chiamati a fare il lavoro più sporco un po' come Stefano Zurlo su 'Il Giornale' e Albina Perri su 'Libero'. Ma occorre talento anche per sdoganare balle e infamità cosa che manca sia al duo Desario/Troili che alla Coletti, tre utilizzatori finali di veline che stanno al giornalismo come le infibulazioni stanno all'emancipazione della donna africana. La Coletti butta fango sui movimenti peggio di una palude. Racconta le occupazioni come epicentri di illegalità e di violenza, le racconta capaci di un'efferratezza come nemmeno nei cartelli del narcotraffico messicano. Raccoglie le rivelazioni di un fantomatico eritreo, il signor E., una gola profonda a cui è capitato di tutto. Per dormire in occupazione gli hanno estorto un pizzo di 150 euro (ma la Coletti ipotizza che in certe occupazioni si arrivi a pagare anche il doppio) poi lo avrebbero picchiato e infine costretto ad andare ai cortei armato come una santabarbara - coltello, spranga e tanica di benzina. Io è un anno che vivo all'interno delle occupazioni di Action - prima Carlo Felice, poi Castrense infine via delle Rupicole. Di santabarbare così, nei cortei e nelle manifestazioni non ne ho viste mai. Ho visto invece madri armate di bambini, ho visto sfrattati armati di verbali di rilascio immobile (l'atto in cui l'Ufficiale Giudiziario verbalizza l'avvenuto sfratto), ho visto compagni armati di rabbia e di megafoni, ma mai di spranghe, coltelli e taniche di benzina. Quanto ai pizzi: l'improbabile signor E. stando alla Coletti sarebbe un eritreo. Coi nordafricani e i peruviani gli eritrei costituiscono la comunità più radicata all'interno di Action e molti di loro hanno parenti sparsi un po' in tutte le occupazioni. La comunità è così affiatata che se a uno di loro gliene capitassero come al signor E. non resterebbe con le mani in mano. Ma la verità è che nessuno paga 300 euro al mese per vivere in un'occupazione di Action e nemmeno 150. Si paga una tessera annuale di 15 euro e si versa ogni mese un piccolo contributo - come fossero spese condominiali - che viene stabilito in assemblea e che varia da occupazione a occupazione. Ma siamo nell'ordine di pochi euro a persona - ad esempio: nella prima occupazione in cui ho vissuto pagavo 7 euro e quando non li avevo i compagni non mi piombavano in camera ficcandomi nelle narici carta che bruciava o schiaffeggiandomi con le scarpe. Magari mi mandavano a quel paese o sbuffavano, ma la cosa finiva lì. Anche perchè la lista dei morosi era lunga, e se la Coletti avesse ragione, Action passerebbe più tempo a menare i compagni insolventi che non a occupare e a trattare col Comune.
A Raffaella Troili viene invece chiesto di scrivere un pezzo sul Regina Elena fresco di sgombero che somiglia a uno dei tanti reportages africani di Ryszard Kapuściński della serie 'Kampala, sei ore dopo la fuga di Idi Amin Dada'. Questo, l'incipit:
"Fa più impressione la risonanza magnetica abbandonata tra rifiuti ed escrementi di gatto o la voglia di normalità e pulizia di certe stanze? Nell’ex ospedale Regina Elena, per oltre due anni un albergo per disperati, irregolari e invisibili, la vita si è fermata alle 13,10 di martedì, l’ora esatta in cui l’immobile sgomberato è stato riconsegnato alla Sapienza. Resti della colazione sono sui tavolini dei “miniappartamenti” in cui gli occupanti avevano trasformato le stanze d’ospedale. E intorno, oltre all’odore a volte forte della convivenza, segreterie, laboratori di analisi, gabinetti di radiologia, sale operatorie, magazzini, schedari, tac usate come dispensa, anche le cuffiette verdi che portano sul capo i medici, targhe dei prof.".
L'immagine della Tac sommersa dai rifiuti e dalle cacche dei gatti è cruda e perfetta per alimentare nel lettore un forte senso d'indignazione e per connotare gli occupanti come un'orda barbarica. Quello che però la Troili omette è che i danni e lo sfacelo del Regina Elena sono figli della gestione Frati che ha lasciato vuota la struttura, senza realizzarvi alcuno progetto e utilizzando i fondi solo per uffici universitari e non per l’assistenza sanitaria. Tanto che è in corso un’indagine della procura della repubblica sulla “scomparsa” di 100 milioni di fondi stanziati dalla Regione negli anni ’90. I disperati, gli irregolari e gli invisibili - come li chiama lei - non hanno affondato il Titanic, si sono solo limitati a salirci sopra dopo che era colato a picco. Ora che l'ospedale è stato restituito alla città vediamo che ne sarà del reparto di ematologia oncologica che il rettore Frati non vede l'ora di regalare ai romani. Per adesso, piani sulla scrivania non ce ne sono. Per adesso, è tutto molto abracadabra. Come per le new town abruzzesi.
A Desario, invece, che tira velenose stilettate ad Action e agli altri movimenti che 'organizzano in maniera scientifica occupazioni illegali in tutta la città cavalcando la disperazione di tanta gente' sarà forse il caso di ricordare il formidabile ruolo di ammortizzatore sociale svolto da Action in questi anni e di come Action e gli altri movimenti abbiano spesso salvato la faccia a un Comune che non ha politiche abitative degne di questo nome. Se Desario fosse un giornalista e non un utilizzatore finale di veline saprebbe che sempre più spesso chi ha un problema d'emergenza abitativa viene indirizzato dalle assistenti sociali del Comune agli sportelli di Action, perchè Roma nel sociale è terzo mondo, una Calcutta sul Tevere, ignobile e stracciona.
Ma Desario, la Troili e la Coletti fingono di ignorarlo, fingono di ignorare troppe cose in verità, e svelinano solo quello che gli viene ordinato dai loro padroni. Il prezzo da pagare quando il tuo editore è un palazzinaro come Caltagirone o Domenico Bonifaci, quello a cui Gardini chiese di racimolare 150 miliardi da mettere in nero, quello che al processo Enimont si vantò di avere preso "a malapena" la quinta elementare e di essere un "palazzinaro" verace e che quando Di Pietro gli chiese conto del suo ingente patrimonio, rispose: "E tutta robba mia". Per chi non lo sapesse, patteggiò la pena di undici mesi di carcere in cambio di 54 miliardi di lire.
Poi, gli illegali saremmo noi.
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